Mercoledì 5 marzo 2025 ore 20,30
Marco Baliani
Kohlhaas
di Marco Baliani e Remo Rostagno
dal racconto Michele Kohlhaas di H. von Kleist
regia Maria Maglietta
Produzione Trickster Teatro
BIGLIETTI
intero € 20
ridotto € 18
Accademia Arte&Vita € 14
Biglietti online esauriti
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oppure nella biglietteria del Teatro in Via Maria SS. Guadalupe 5 a Breno, aperta ogni martedì e venerdì dalle 17,30 alle 18,30 (escluso festivi e periodo dal 14 dicembre 2024 al 6 gennaio 2025 compresi e dal 16 aprile al 28 aprile 2025 compresi) e nelle giornate/serate di programmazione a partire dalla mezz’ora che precede l’inizio dello spettacolo
È un monologo eterno, quasi trentacinquenne, che non mostra il minimo accenno di vecchiaia. Accolto sempre con gioia e recensito con entusiasmo viene visto, rivisto e incanta chi lo incontra ora per la prima volta. Già Crucifixus, molti anni fa, ebbe la possibilità di mostrarlo al pubblico camuno che ora può tornare ad ammirarlo. La storia di Michele Kohlhaas è un fatto di cronaca realmente accaduto nella Germania del 1500, scritto da Heinrich von Kleist in pagine memorabili. Nel racconto orale di Marco Baliani, Kohlhaas, si mostra la storia di un sopruso che, non risolto attraverso le vie del diritto, genera una spirale di violenze sempre più incontrollabili, ma sempre in nome di un ideale di giustizia naturale e terrena, fino a che il conflitto generatore dell’intera vicenda -cos’è la giustizia e fino a che punto in nome della giustizia si può diventare giustizieri- non si risolve tragicamente lasciando intorno alla figura del protagonista un’ambigua aura di possibile eroe del suo tempo. Un tema antico dunque, tragico nella tradizione e nella forma, che continua a catturare, perché il narratore non può che narrare ciò che epicamente lo coinvolge nell’intera sua persona; a Marco succede così: non può raccontare qualsiasi cosa.

La storia di Kohlhaas è un fatto di cronaca realmente accaduto nella Germania del 1500, scritto da Heinrich von Kleist in pagine memorabili.
Nel mio racconto orale è come se avessi aggiunto allo scheletro osseo riconoscibile della struttura del racconto di Kleist, nervi muscoli e pelle che provengono non più dall’autore originario ma dalla mia esperienza, teatrale e narrativa, dal mio mondo di visioni e di poetica.
Così ad esempio tutta la metafora sul cerchio del cuore paragonato al cerchio del recinto dei cavalli, che torna più volte nella narrazione, come luogo simbolico di un senso della giustizia umanissimo e concreto, è una mia invenzione, nel senso etimologico del termine, qualcosa che ho trovato a forza di cercare una mia adesione al racconto di Kleist.
Così via via il testo originale si è come andato perdendo e ne nasceva un altro, un work in progress alla prova di spettatori sempre diversi, anno dopo anno, in spazi teatrali e non, secondo un procedimento di crescita che ai miei occhi appare come qualcosa di organico, come mi si formasse tra le mani un organismo vivente sempre più ricco e differenziato.
Accade nell’arte del racconto orale che per cercare personaggi interiori occorra compiere lunghi percorsi, passare attraverso storie di altre storie, sentirsi stranieri in questo mondo dopo aver tanto peregrinato, fino a trovare quel punto incandescente capace di generare a sua volta nell’ascoltatore un mondo di visioni, non necessariamente coincidenti con le mie.
L’arte sta nel non nominare troppo, nel cogliere il cuore di un’esperienza con pochi tratti lasciando molto in ombra, molto ancora da compiersi.
Kohlhaas è la storia di un sopruso che, non risolto attraverso le vie del diritto, genera una spirale di violenze sempre più incontrollabili, ma sempre in nome di un ideale di giustizia naturale e terrena, fino a che il conflitto generatore dell’intera vicenda, cos’è la giustizia e fino a che punto in nome della giustizia si può diventare giustizieri, non si risolve tragicamente lasciando intorno alla figura del protagonista una ambigua aura di possibile eroe del suo tempo.
Le domande morali che la vicenda solleva e lascia sospese, mi sembrarono, quando cominciai ad affrontare l’impresa memorabile del racconto, un modo per parlare degli anni ’70, per parlare di quei conflitti in cui venne a trovarsi la mia generazione, quella del ’68, quando in nome di un superiore ideale di giustizia sociale si arrivò a insanguinare piazze e città.
In fondo, a voler rivedere all’indietro il mio percorso artistico, senza Kohlhaas non sarei arrivato a raccontare Corpo di Stato, racconto teatrale andato in onda in diretta televisiva la notte del 9 maggio, vent’anni dopo la morte di Moro, a poter ritrovare i medesimi conflitti, riuscendo questa volta a parlarne dall’interno, come soggetto coinvolto nei fatti narrati.
Un tema antico dunque, tragico nella tradizione e nella forma, che continua a catturarmi, perché il narratore non può che narrare ciò che epicamente lo coinvolge nell’intera sua persona, a me succede così: non potrei raccontare qualsiasi cosa.
– Marco Baliani
